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Il vincolo di scopo nell’amministrazione paritaria

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Dentro gli orizzonti contemporanei i principi del diritto amministrativo sono risultati particolarmente sensibili ai processi evolutivi che ne hanno definito e tuttora ne concorrono a definire i versatili lineamenti. Mai, infatti, come in quest’epoca storica si è avvertita la necessità di affermare con forza l’antropocentrismo dell’ordinamento giuridico sia interno che internazionale. Attraverso una serie di autorevoli sguardi ricostruttivi, in particolare, l’imponente coltre di studi fiorita soprattutto a partire dalla metà del secolo scorso, per un verso ha visto l’amministrazione recepire l’evoluzione della forma statale, risentendo del mutare della dialettica autorità-libertà verso una sempre più netta riduzione delle differenze tra amministrazione e cittadino e, per un altro soprattutto per via dell’apporto di autorevole Dottrina, ha portato ad un progressivo avvicinamento al modello dell’amministrazione paritaria così com’è stata teorizzata in passato. In tal senso, si è affermato come il vincolo di scopo costituisce elemento giuridico prioritario nell’interpretazione del sistema, rappresentando il naturale sviluppo del diritto amministrativo tradizionale, in particolare quale diritto di garanzia, il punto di snodo sensibile del passaggio dal mero riconoscimento formale alla protezione effettiva dei diritti sociali affermati nelle Costituzioni europee del dopoguerra, garanzia quindi della giustizia e dell’efficienza dell’azione amministrativa. L’emersione positiva di questo dato rileva, del resto, in vari istituti. Si pensi, anzitutto, alla sempre più incisiva tutela attribuita in caso di silenzio inadempimento o all’irrilevanza del vizio formale rispetto all’annullabilità del provvedimento vincolato. Si pensi, inoltre, a tutte quelle disposizioni della legge generale sul procedimento del 1990 che, soprattutto attraverso una serie progressiva di riforme, hanno attribuito ai privati nuovi poteri di partecipazione nel procedimento amministrativo, dando così maggior tutela ai loro interessi nonché garantendo l’attribuzione di prerogative simili a quelle intrinseche della pubblica amministrazione. Il punto d’arrivo di tutto questo percorso è stato una rilettura della nostra Carta costituzionale nel senso di prefigurare un’amministrazione gravata da un vincolo di servizio nei riguardi della collettività: veicolo di questa evoluzione è stata, in particolare, la progressiva valorizzazione delle prerogative giuridiche individuali. Infatti, se il singolo è stato a lungo estraniato dall’azione pubblica in quanto visto come mero amministrato, oggi la soggettivazione unilaterale del potere è destinata a venir meno in favore d’una precettiva e garantista griglia di diritti sociali. Questa valorizzazione, peraltro, conducendo ad affermare un’“amministrazione oggettivata” ha segnato il passaggio da una concezione di amministrazione soggettivo-istituzionale ad una oggettivo-funzionale sulla base del convincimento che gli scopi o il “risultato” da perseguire, corrispondano ad altrettanti interessi, utilità o beni della vita dei cittadini. In questa maniera, l’acquisita consapevolezza di un “risultato” fisiologicamente funzionale alla progressiva acquisizione di un c.d. diritto soggettivo pubblico spingerà a verificare l’assunto sul banco di prova da sempre più ostativo all’affermarsi della paritarietà; l’agire discrezionale della pubblica amministrazione. Rileggendo l’istituto in chiave evolutiva, in particolare, si vedrà come la costruzione perpetuata per decenni sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza e che considera la discrezionalità come agire libero ed insindacabile sia sempre più contraddetta da nuovi orientamenti che, soprattutto tramite il ricorso all’eccesso di potere, arrivano a postulare una cognizione piena anche all’interno della sfera riservata alla pubblica amministrazione, giungendo nei fatti sia ad attribuire al cittadino direttamente il “bene giuridico” ambìto, sia rimodulando l’intero apparato processuale tramite la valorizzazione del momento conformativo, per configurarlo come passo decisivo verso una giurisdizione di tipo soggettivo.

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